Da punto a spazio: il progetto LuOgo
Dialogo orizzontale
di Chiara Tartagni – foto di Orizzontale
L’estate del 2022 ha visto l’installazione di LuOgo presso l’area antistante la Rocca Estense di Lugo. I partecipanti al workshop appositamente dedicato hanno dato vita alla piccola arena temporanea su progetto e direzione del collettivo orizzontale. Con Margherita Manfra e Roberto Pantaleoni, architetti e co-fondatori dello studio, abbiamo conversato di LuOgo, forme paritarie e relazioni propizie.
Come definireste la vocazione del collettivo orizzontale?
Il nostro studio è nato nel 2010 intorno a un’idea di spazio pubblico e delle sue dinamiche progettuali e sociali. Eravamo studenti che avevano alimentato quel primo interesse grazie all’esperienza all’estero. In molti paesi europei, l’ambito accademico consente
di sperimentare nella pratica. Noi abbiamo portato questo approccio in Italia e in particolare a Roma, che presenta una casistica molto ampia di spazi pubblici: in attesa di trasformazione, abbandonati… È stato il nostro settore di ricerca. Oggi è il nostro lavoro.
Il progetto LuOgo è nato in sinergia con Edilpiù e l’Amministrazione di Lugo. Quanto è importante il sodalizio fra istituzioni e imprese?
(Manfra) È fondamentale. LuOgo è figlio di una rarissima congiuntura, in cui le basi erano già solide e il rapporto tra pubblico e privato si è tradotto nel raggiungimento di obiettivi comuni, con ricadute su territorio e impresa. Si sono inanellate relazioni di responsabilità reciproca fra noi, gli sponsor locali e una salda rete di aziende.
(Pantaleoni) Rifletto da molto tempo su questo tema. Credo sia tempo di smettere di demonizzare il privato e il suo intervento nel pubblico. In questo caso, un nuovo elemento è stato destinato a una fruizione comune e del tutto gratuita. È una restituzione enorme, perché ne rimane l’uso pubblico. Questa è la discriminante fondamentale, che produce energia attiva e collettiva.
Qual è stata la vostra reazione durante il primo sopralluogo?
Ci si è palesato uno spazio singolare, con una grande complessità di elementi e un’identità ibrida. Tutto ciò non è fonte di contrasto, ma conserva un incredibile equilibrio figurativo, con una quantità di aree aperte all’uso pubblico che potrebbe far invidia alle grandi città.
Come vi siete relazionati con l’architettura circostante e in particolare con la Rocca di Lugo?
La Rocca è uno sfondo meraviglioso, un punto di vista privilegiato sull’installazione, una quinta con cui non avremmo mai potuto entrare in competizione. La forma a tronco di cono ricorda vagamente le mura della Rocca, anche se LuOgo è stato costruito come uno spazio permeabile, non fortificato o divisivo. Inoltre, con la scelta dell’insegna abbiamo voluto preservare lo sguardo onirico, quasi felliniano, delle luci già presenti in loco, e costruire una visione immaginifica: un elemento di festa che arriva in città, un tendone da circo che magicamente appare e scompare.
In quanto architettura effimera, LuOgo è una sorta di sonda in forma fisica. Vi aspettate che lasci tracce?
(Manfra) Le tracce possono essere fisiche, come il segno sul prato, fino all’esperienza di un luogo abitato e vissuto. La matrice originaria del progetto è un altro oggetto temporaneo: se Lunette era un punto, LuOgo è uno spazio. Da Lunette in poi, si stratifica la memoria, che non è nostalgia del passato ma di possibilità. L’area in cui è sorto LuOgo è residuale, ricalca le mura storiche. Quando vi sostiamo, siamo portati a guardare in su, o verso il Pavaglione. Invece ha la dignità di essere uno spazio a sé.
(Pantaleoni) Essendo una sonda e non un aratro, non lascia tracce ma le recupera. Qual è la sua funzione? Mettere alla prova. Crediamo che arrivare con un progetto predeterminato per lo spazio pubblico sia totalmente sbagliato. L’architettura effimera ci permette di ritarare il progetto o riconoscere la direzione positiva. È come il rover inviato su Marte: prende, non lascia. Capisce il territorio, esplora, analizza. LuOgo può restituire risultati, ricordi e bisogni, ma lascerà un’unica traccia: il prato un po’ ammaccato.
Quali associazioni vi scatena la forma del cerchio?
(Manfra) Archetipo dell’abitare umano. È una forma nomade, immediata, agerarchica. Consente di dialogare in una maniera morbida e più diretta. La magia del cerchio è che non ha inizio o fine, ma è concluso.
(Pantaleoni) Il gesto di fondazione di Romolo! È una figura molto antica, anche tribale. Definisce lo spazio. Non ha una gerarchia, come la Tavola Rotonda. All’interno dei villaggi crea un luogo, perché dentro il cerchio si sta insieme. Non a caso è presente proprio al centro del nome LuOgo, che è un’arena e un ambiente di incontro. Per questo ci siamo anche interrogati sul ruolo del palco al suo interno. Di solito, finché un concerto non inizia, il palco è inaccessibile, una sottrazione dello spazio pubblico. Questo spazio doveva avere vita propria anche fuori dagli eventi, con un palco non frontale. Vi si cerca l’ombra, vi si staziona con benessere. Permette di leggere, chiacchierare, passare del tempo. E il cerchio ha risposto a tutte queste necessità.
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