Soglie ritrovate
Forgotten Architecture
di Chiara Tartagni – foto di Gianluca Gasperoni
È una storia di passione e di tenacia, quella di Forgotten Architecture. Proprio come la storia di colei che ha ideato il progetto, l’architetto e ricercatrice Bianca Felicori.
Raccontaci il progetto Forgotten Architecture.
È un’esperienza collettiva nata su Facebook il 28 maggio 2019, che scavalca il tema architettonico e oggi coinvolge oltre 28.000 persone con percorsi professionali diversi. L’idea è recuperare progetti di architetti poco noti e opere lasciate nell’ombra dei maestri, approfondire figure “minori”, unire diverse formazioni in Storia dell’Architettura per integrare il percorso universitario. Annulla le barriere sociali e trasforma gli esseri umani in users a piede libero. La considero la mia piccola creatura che condivido con il mondo, nata per tante ragioni: prima tra tutte, l’interesse che ho alimentato per alcuni personaggi della storia “minore” dell’architettura italiana, come Marcello D’Olivo e Aldo Loris Rossi.
Com’è nato il tuo amore per l’architettura dimenticata?
Ero al secondo anno di Architettura al Politecnico di Milano e dovevo fare una ricerca a piacere con Ilaria e Giovanni, che veniva da Udine. Giovanni e io abbiamo scoperto di frequentare le stesse località marittime, poiché mia madre è friulana, e in quella zona la meta più attraente è Grado. Affacciato sul mare, c’è un “ecomostro” (così lo chiamano i gradesi) meglio noto come “Zipser”, enorme complesso residenziale per famiglie. Giovanni mi ha proposto di focalizzarci su quello, dicendomi «è di Marcello D’Olivo». Io non l’avevo mai sentito nominare. Ho poi scoperto che D’Olivo era una sorta di genio matematico: disegnava i suoi progetti facendo sempre riferimento a forme sinusoidali. Ho continuato a dedicarmi a lui, scoprendo che aveva lavorato con un grande amico di mio padre. Era l’editore bolognese Luca Sossella, che mi ha raccontato molte storie su D’Olivo e aveva conservato l’articolo pubblicato da Repubblica nel giorno della sua morte: «Marcello D’Olivo. L’architetto dimenticato». Così ho avviato la mia personale battaglia per questo architetto e tutte le figure “minori” della storia italiana.
Che valore ha per te condividere l’architettura con tante persone dalle tante storie?
Inestimabile. Forgotten Architecture è un motore che si attiva, si spegne e si riattiva solo grazie alle persone che lo animano. Il contatto, seppur virtuale, ci permette di creare non solo un archivio, ma nuovi canali di comunicazione. E molte persone hanno avuto la possibilità di scoprire non solo i progetti minori o gli architetti meno considerati dalla critica, ma anche e soprattutto la loro storia.
È un bagaglio che porti con te anche nel tuo percorso quotidiano?
Chiaramente. Negli anni Forgotten Architecture è diventato tante cose: eventi, progetti di curatela, tour, panel, talk, ora un libro e un documentario. Alimenta il mio percorso professionale quanto accademico: ho vinto una borsa di dottorato a Bruxelles, dove continuerò a indagare temi fortemente legati al progetto e ai miei studi presso il Politecnico di Milano.
Se dovessi collegare l’architettura dimenticata a un genere musicale, cosa ti verrebbe in mente?
Sicuramente la musica rap e la sua derivante trap. Un’indagine sociologica e antropologica sul collegamento tra l’architettura, l’urbanistica e questi generi musicali è stata anche oggetto di un programma alla Triennale Milano da me curato nel 2020. Nati da una matrice culturale americana come fenomeni underground e subculture visceralmente legati a contesti marginali, rap e trap sono diventati linguaggio universale, annullando gradualmente ogni barriera generazionale e di classe. A volte, l’emarginazione sociale è però ancora profondamente connessa a una marginalità urbanistica. Spesso questi ragazzi provengono da ambienti periferici e provinciali che sono parte integrante della loro narrazione: il quartiere, gli amici, la sofferenza e il disagio, le criticità familiari e i problemi con la legge. Una condizione sociale esplicitata nei video musicali, dove l’architettura che fa da sfondo è quasi sempre il contesto popolare in cui sono cresciuti.
A cosa associ il concetto di “soglia” e cosa significa per te attraversarla?
Per me è un passaggio necessario ogni volta che mi tocca affrontare un periodo di transizione, il passo in più da compiere. Dico “mi tocca”, sì, perché nonostante io viva in modo frenetico, faccio ancora fatica ad affrontare i cambiamenti di stato. Professioni come
la mia sono un’arma a doppio taglio: ami tutto quello che fai anche se riempi completamente la tua vita, senza riuscire mai a dividere il tempo del lavoro da quello del piacere.
Ti è piaciuto?
Condividilo sui social oppure compila il breve form qui sotto per iscriverti alla nostra newsletter, in omaggio riceverai la copia integrale di OPENINGS (in pdf) e resterai aggiornato sulle prossime uscite. Non preoccuparti, non ti sommergeremo di email non desiderate e potrai cancellare la tua iscrizione in ogni momento. Per approfondire il tema della privacy e del trattamento dei dati personali, clicca qui >.