Tracce dell’abitare – VII – Marius Schneider
VII – Musica divina
a cura di Gaia Dallera Ferrario e Lorenzo Palmeri
“…la musica è l’architettura liquida e l’architettura è la musica congelata.”
Johann Wolfgang con Goethe
Marius Schneider nato in Alsazia nel 1903 è tra i più originali studiosi e teorici della musica. La sua carriera comincia studiando in senso classico, in particolare avvicinando il pianoforte e la composizione per cui ebbe modo di formarsi con nomi importanti come Andrè Pirro, Alfred Cortot e Maurice Ravel. La filologia e la musicologia furono le strade maestre intorno cui avviò una straordinaria ricerca che lo condusse a comporre una sorta di cosmologia sonora, sino a riconoscere l’origine udibile di molte fenomenologie fisiche e simboliche.
Di fatto Marius Schneider ha fuso in modo del tutto inedito gli studi sulla musica con la mitologia. Nessuno prima di lui aveva intravisto e intrapreso questa strada di cui divenne, gioco forza, iniziatore. Per lui, gli dei erano paragonabili a dei canti che, ancora prima di assumere sembianza fisica e aspetto estetico, erano forme di energia, in particolare sonora, composta da armonie, melodie, ritmi e, in ultima istanza, vibrazione organizzata. In accordo con ciò che ci insegna, in altri modi e per altri versi, la fisica, per cui alla base di tutto vi è la vibrazione. Schneider cercò lungo tutta la sua esistenza le tracce, prima, e l’interpretazione, poi, delle origini di una sorta di cosmologia arcaica, dimenticata, basata sulla “sostanza sonora”.
I suoi studi di etnomusicologia, lo portarono a cercare i simboli musicali delle culture primitive e le loro applicazioni. Schneider si colloca per questo tra coloro i quali hanno mosso forti critiche all’impostazione post illuminista delle culture occidentali, dimentiche, o meglio inconsapevoli, di simboli, energie, aure. In questo viaggio complesso si avvicina evidentemente anche all’architettura, cosa che farà in particolare nel suo libro più famoso “Pietre che cantano”, in cui analizza tre chiostri romanici per giungere alla sorprendente deduzione che si tratti di vere e proprie architetture sonore, basate sulla stessa struttura del canto gregoriano. Come se la pianta, gli spazi, i vuoti e i pieni, il ritmo stesso dell’edificio suonassero una sorta di canto, in virtù di un ordine percepito a livello interiore.
Vale la pena riportare la quasi totalità dell’introduzione al libro scritta a suo tempo da Elemire Zolla, altro interessantissimo e fondamentale studioso:
“rari sono i libri che possono cambiare la vita di chi li legge: questo è uno di essi. Chi sappia cavarne tutte le deduzioni, vede in modo nuovo la storia, ascolta altrimenti i suoni della natura e la musica, guarda diversamente le cose. Intanto le guarda con l’orecchio: impara a coglierne il ritmo, la vibrazione essenziale. Schneider (…) annotò le figure effigiate sui capitelli assegnando a ciascuno un valore musicale, quindi lesse come simboli di note le singole figure, basandosi sulle corrispondenze tramandate dalla tradizione indù, e scoprì infine che la serie corrispondeva alla esatta notazione degli inni gregoriani dedicati ai santi di quei chiostri.”