La soglia condivisa

Openings n. 1 | 2021

Memorie di viaggio,
Magazzini del Sale, Cervia 2020

I disegni di Álvaro Siza

di Chiara Tartagni – ph. Raul Betti, Andrea Piovesan, Greta Ruffino

Dopo aver oltrepassato la soglia dello studio di un grande architetto, Raul Betti e Greta Ruffino si sono fatti una domanda: come possiamo condividere la nostra esperienza? Così è nata la mostra itinerante Álvaro Siza. Viagem sem programa.
Tutto è partito da una foto: il civico 53 dello studio
di Siza a Porto. Durante il nostro incontro nel 2005, Siza ci ha accolti con grande disponibilità, pronto ad ascoltarci in maniera aperta. Ci ha emozionati profondamente trovare curiosità e volontà di condivisione in un architetto la cui qualità è manifesta nelle sue opere. Sulla strada del ritorno, abbiamo iniziato a chiederci come condividere quello che è un vero approccio etico. Dopo un periodo di incubazione, nel 2010 siamo tornati da lui con un’idea di progetto più chiara. Libri, mostre, documenti sulle architetture di Siza esistono da decenni. Ci siamo quindi soffermati su un aspetto che era noto solo alla sua stretta cerchia personale: la capacità di raccontare la vita tramite il disegno figurativo. Abbiamo voluto indagare il rapporto umano che si instaura fra Siza e il mondo che lo circonda, la sua semplicità nel raccontare incontri e viaggi. Abbiamo intuito che molto del valore delle sue architetture deriva da una sensibilità sì nella ricerca del dettaglio, ma anche nell’osservazione delle persone che le vivono. Sono architetture senza tempo, sempre a dimensione umana. Niente meglio dei ritratti e dei momenti di vita avrebbe raccontato questa visione.
Cos’è successo quando Siza ha finalmente approvato il progetto?
Abbiamo passato intere giornate in archivio insieme a lui e alla sua archivista Chiara Porcu, ad ascoltare aneddoti e racconti per ogni disegno, ogni viaggio. Forse è una forma di memoria che viene innescata dal tratto disegnato. È così anche sul lavoro: in quanto attento compositore di opere architettonico- musicali, Siza coglie subito l’eventuale stonatura di una modifica progettuale che non porta la sua firma. Ama la musica e soprattutto il jazz, per l’importanza dell’improvvisazione. Ma essa non è mai fine a se stessa ed è solo apparente, proprio come nei progetti.
Qual è il legame della mostra con l’idea di viaggio?
Siza ha vissuto il viaggio con un senso di liberazione: fino agli anni ’70 in Portogallo c’era una dittatura. E la parola “viaggio” è diventata la chiave di tutto, anche nel titolo. Quando gli abbiamo chiesto cosa pensasse di Viagem sem programa, lui ci ha risposto: «sì, ma i miei viaggi hanno sempre un programma!». Anche l’idea della mostra è stata un viaggio per noi, che in genere lavoriamo su committenza. Per questo è un progetto molto personale.
Com’è andato avanti il percorso?
In modo naturale. Dal 2010, quando abbiamo parlato per la prima volta del progetto, al 2012, quando la mostra è stata allestita alla Biennale di Venezia, abbiamo prodotto l’idea, il documentario, la pubblicazione. La collezione di disegni, realizzati in oltre 60 anni di attività, compone un’opera unica. Del resto, come si poteva soppesare la memoria? Questo ci ha permesso di creare un format itinerante e replicabile, ma abbiamo anche dovuto ragionare sull’esposizione ed essere flessibili sulle location. Abbiamo portato la mostra nei musei, ma anche in luoghi rubati ad altre funzioni. Si rende disponibile e cerca di integrare le istanze di ciascun territorio. E di fronte a ogni nuova richiesta espositiva, ci poniamo sempre nel medesimo modo: condivisione e cuore aperto. Da un punto di vista operativo, bisogna collaborare con chi si occupa di infrastruttura e organizzazione.

Per la prima edizione durante la Biennale di Venezia siamo debitori della Fondazione Querini Stampalia, che ci ha ospitato appoggiando la filosofia progettuale e proponendo una cultura trasversale.
È quindi una mostra non solo itinerante, ma anche aperta?
Vuole dialogare con tutti e non vuole essere elitaria, quindi ci sembra giusto condividere questo libero accesso. Ci siamo sempre divertiti a mescolarci con il pubblico delle mostre per cogliere cortocircuiti e impressioni. Alla Fondazione Querini Stampalia c’era chi visitava la mostra senza conoscere Siza come architetto e commentava il tratto del disegno. Nel diario delle presenze abbiamo trovato schizzi o note di simpatia. E durante la proiezione del videodocumentario, qualcuno rievocava le atmosfere del suo studio. È stato emozionante.
Quali luoghi ha toccato la mostra?
Siamo passati dal Museo di arte moderna di Dubrovnik a una piccola galleria a Zagabria, dove Siza aveva già esposto. Poi a Castellarano, in un luogo industriale dove abbiamo usato metodiche espositive nuove, come i grandi leggii in ceramica. Il disegno deve essere protetto e valorizzato, ma può anche permettersi di essere adagiato su una superficie piuttosto che appeso alla parete. Vogliamo portare chi guarda a una postura diversa, più accogliente, che faccia entrare in intimità con il disegno. Lo stesso Siza aveva già scelto questa soluzione nella Basilica Palladiana e inconsciamente abbiamo riproposto questa idea in modo coerente. Grazie all’invito di Manuel Aires Mateus a Lisbona, abbiamo portato la mostra anche nel suo studio.
Come si esprime il vostro concetto di soglia in questi frangenti?
L’ingresso in uno spazio nuovo è una genesi: lo immagini, pensi a come valorizzarlo. È stato così anche per l’incontro stesso con Siza, che ti accoglie proprio sulla soglia del suo studio. L’incontro con i luoghi è un momento di creatività, com’è accaduto per le due mostre organizzate con ProViaggiArchitettura a Siena e Cervia. La presenza del mattone sulle pareti è diventata simbolo di legame con la storia, con il cambiamento di funzione.
Avete un’idea di flusso naturale fra discipline: anche questo è un modo di oltrepassare una soglia.
Abbiamo unito le nostre competenze di architettura e comunicazione dell’architettura in questo progetto, che deve esprimersi su diversi supporti ed è sempre in progress. Un esempio lampante sono le casse studiate per trasportare i disegni, che in alcuni casi hanno fatto anche da supporto espositivo. A proposito di fluidità, nella nostra videointervista Siza afferma che in realtà non si disegna mai su un foglio di carta bianca: si inizia sempre da un elemento di ancoraggio.
Quale ricordo vi ha lasciato la mostra ai Magazzini del Sale di Cervia?
Come sempre, abbiamo coinvolto realtà che credessero nel progetto: è stato così anche con Edilpiù, fra gli sponsor della mostra. È un ricordo importante, perché è stata unica in tutto e per tutto: ha inaugurato poche ore prima del lockdown. Quando si potranno organizzare nuove esposizioni, tutti capiremo davvero cosa ci è mancato in questo ultimo periodo.

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