Musica oltre i confini

Openings n. 1 | 2021

Mirko Casadei,
foto di Gianluca Gasperoni

La Romagna di Mirko Casadei

di Chiara Tartagni – ph. Gianluca Gasperoni

«Sono la terza generazione della famiglia Casadei e porto avanti questa tradizione proiettandola nel futuro. È una missione che mi rende orgoglioso, perché la nostra musica mette insieme le persone e le generazioni». Così si presenta Mirko Casadei, che in occasione del documentario Openings ha conversato con Francesca Molteni.
Esiste un termine in musica che possa essere assimilato al concetto di soglia?
Più che un termine, posso dire che nella musica siamo abituati ad attraversare delle soglie per scoprire il nuovo. La musica è sempre in evoluzione grazie agli incontri, alla contaminazione. È così che nascono nuovi generi.
Tu hai dovuto oltrepassare la tradizione per portare questo stile nel mondo contemporaneo.
Sì, l’Orchestra Casadei ha quasi 100 anni di storia e abbiamo sempre guardato avanti: è il segreto della longevità di questa musica. Io l’ho fatto girando il mondo: ho portato la Romagna in Brasile, Australia, Argentina, Russia, Cuba. Ho incontrato tanti artisti, come Paolo Fresu, Goran Bregović, Gloria Gaynor. Questo mi ha permesso di tenere come punto fermo la tradizione e di evolvermi. Ho preso spunto da un grande architetto, Antoni Gaudí, che diceva che per essere originali bisogna sempre guardare le proprie origini.
Questo connubio fra tradizione e innovazione com’è stato recepito?
Il nostro pubblico è in evoluzione a sua volta, in certi casi è molto più pronto di noi. Si aspetta già un cambiamento. Portare la musica a latitudini così lontane e incontrare rock, punk, jazz, blues e tanti altri generi ci permette di nobilitarla.
Non hai mai avuto voglia di scappare dalla Romagna e dalla famiglia?
In realtà io ho iniziato proprio fuggendo! Ho viaggiato, ho fatto il dj e l’animatore lontano da casa. Ho fatto un po’ la parte del rivoluzionario, ma poi ho capito che la famiglia è un valore aggiunto, dove spesso ritrovi le persone di cui ti puoi fidare. E poi qui in Romagna si sta davvero bene: è un’isola felice. Non la cambierei per nulla al mondo.
Oggi che la Romagna è cambiata rispetto agli anni ’70, quali sono i valori e le unicità di questa terra?
Qui “si tiene ancora botta”. È un posto sano e bello, in cui si integrano anche persone che vengono da lontano. Si vive ancora con serenità e con condivisione. Il mare ci illumina ogni giorno, le colline sono splendide. Le persone sono sincere, si parlano al mercato, le relazioni sono ancora quelle di una volta. È una caratteristica che ci teniamo stretta. Siamo un punto ideale d’incrocio fra animo conviviale e organizzazione.

Quali sono oggi le tue fonti d’ispirazione?
Il mare sicuramente, così come lo era nel passato dell’Orchestra. Noi siamo cresciuti a contatto con l mare, quindi è davvero qualcosa che abbiamo dentro: non riusciamo a farne a meno. Credo che anche l’abbraccio con le persone, l’incontro, la condivisione siano nel nostro DNA, anche semplicemente nell’identità di tutti gli italiani. Abbiamo bisogno del contatto fisico, di condividere bei momenti. Ho scritto proprio una canzone sull’incontro fra popoli lontani, sull’abbraccio che è anche l’abbraccio del liscio. Il liscio è il ballo sociale per eccellenza: ci si pesta i piedi, nascono storie d’amore, amicizie, famiglie. Anche la curiosità è molto importante: non vogliamo restare chiusi nella nostra isola felice, il mondo è prezioso. 
Fra tanti figli e nipoti, speri che ci sia un Casadei per l’Orchestra del futuro?
È una speranza, ma non ci voglio contare per forza. Ognuno deve trovare la propria strada. I miei figli sanno suonare e si divertono con la musica, che è un grande linguaggio universale. Ho partecipato a un progetto nelle scuole e ai bambini ho detto: non aspirate ad avere successo, ma a suonare uno strumento, perché apre un mondo nel comunicare con gli altri. Questo desidero per i miei figli e i miei nipoti.
La soglia è anche un confine da superare. Se pensi all’Orchestra fra qualche anno, come potrebbe essere?
Alzare l’asticella è il nostro obiettivo da sempre. Quando sono entrato nell’Orchestra, sono stato io a portarla per la prima volta in giro per il mondo, anche perché Raoul aveva paura di volare! E poi aveva trovato la sua “America” in Italia. Quindi ho superato questa soglia fisica per poi attraversare le altre, attraverso le contaminazioni musicali. Bisogna sempre guardare il proprio passato per costruire il futuro. Ci saranno sempre nuovi obiettivi. Raoul negli anni ’70 ha portato questa musica a Sanremo, al Festivalbar, a un grande successo. Ecco, questo è l’esempio che seguo.
Hai nominato tuo padre Raoul, amatissimo molto oltre la Romagna. Cosa significa per te?
Di generazione in generazione dev’esserci una trasformazione: è la storia di tutti noi. Il mio rapporto con mio padre è sempre stato molto sincero ma anche conflittuale, pur avendo lo stesso pensiero di fondo. L’ho sempre chiamato Raoul e in molti mi hanno chiesto perché, sembra quasi una forma di distanza. Ma io lo faccio perché tutti lo conoscono come Raoul Casadei, re del liscio. Mi ha insegnato tanto come padre e come artista: il rapporto con la gente, il modo di comunicare, la trasparenza, l’onestà, che è una dote rara ma fondamentale. Lui l’ha sempre avuta.

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