La consapevolezza del vivere

Openings n. 1 | 2020

Casa de Chá – Álvaro Siza, Matosinhos 2019.

Conversazione con Atelier XYZ

di Chiara Tartagni – ph autori vari

Cos’è per voi la soglia?
Innanzitutto quella fra mondo interiore e ciò che si manifesta attraverso il mezzo. La soglia è lo strumento stesso, nel caso della fotografia e del video d’architettura. Può essere anche uno sguardo, o un momento di cambiamento. Ma è anche il limite fisico in cui finisce un sistema e ne inizia un altro. Nel nostro percorso cerchiamo di trovare proprio quei punti di confine. È lì che esplodono la magia e il mistero. Fotografia e video richiedono di fermarsi a guardarli con più attenzione. In Occidente siamo spesso abituati a considerare inizio e fine come opposti e nemici. Invece, visti attraverso la soglia, non sembra così. Ecco perché è magica. Attraversandola, cosa che facciamo quotidianamente, ci troviamo in realtà da entrambe le parti. Sentiamo nostra la direzione estetica e culturale del Giappone, con il suo rispetto per il tempo, per il fluire, per il divenire. L’architettura stessa non è un corpo fisicamente stabile: le stanze in cui stiamo si stanno muovendo ed è inquietante prenderne coscienza. Se in Occidente tutto dev’essere pulito, lucido e perfetto, in Oriente è bella anche una cosa rovinata, che invecchia, con patine e ombre che creano una poetica del tempo. Anche il vuoto è un grandissimo elemento di unione, di soglia. È ricchezza, proprio come il silenzio. È pura energia potenziale: da un momento all’altro può generare qualcosa.
Rapportarvi con l’architettura fa parte di questo processo di rallentamento del tempo?
Sì, perché richiede uno sguardo lento e la capacità di fermarsi a lungo. L’architettura è un corpo che vibra, a seconda delle stagioni, dell’orario in cui viene fotografata e delle persone

che la vivono. Un servizio di architettura non può durare meno di 24-48 ore e a volte va ripetuto in più giornate o in diversi momenti dell’anno.
C’è quindi una dimensione narrativa nel vostro lavoro?
È importantissima: veniamo dal mondo dell’architettura, ma portiamo avanti due linguaggi, quello fotografico e quello video, che vivono di racconto e si contaminano continuamente a vicenda. Vogliamo raccontare ogni volta una storia che non tenga conto solo del nostro punto di vista, ma anche di ciò che voleva dire l’architetto, nel rispetto del suo progetto. Se ci rapportiamo a un architetto che esplora il rapporto con la città, possiamo usare droni oppure grandangoli per valorizzare la relazione fra oggetto e contesto. Alcuni architetti sono maestri del dettaglio, altri ancora non sono minimamente interessati al particolare. Quindi prima leggiamo l’opera e poi narriamo di conseguenza.
Vedere la soglia è un’abilità riservata a particolari sensibilità?
Sarebbe preziosissima per ognuno di noi ed è possibile impararla ordinando lo sguardo. Fin da bambini siamo abituati a questo passaggio: appena entriamo in chiesa, restiamo in silenzio e mostriamo rispetto. È un passaggio fisico ma anche comportamentale. Consapevolezza della soglia equivale a consapevolezza del vivere e servirebbe davvero a tutti, soprattutto in un momento come questo.

Da sinistra:
3 + 1 to N., Trento, 2020;
Nebbia n.37, Brescia 2017;
Villa Foscari – Andrea Palladio, Mira 2014;
CEPT University – Doshi, Ahmedabad 2018;
Casa de Chá – Álvaro Siza, Matosinhos 2019.

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