Federico Babina: la forma delle idee

Openings n. 1 | 2020

Conversazione con Federico Babina

di Chiara Tartagni

Architetto, illustratore, graphic designer, Federico Babina ama l’intrecciarsi di queste anime del suo lavoro. In occasione dei primi 40 anni di Edilpiù, Babina sarà coinvolto in un progetto esclusivo.
Com’è iniziato il tuo percorso? 
Ho cominciato come architetto e poi ho deviato verso l’illustrazione. Penso che ogni architetto dovrebbe essere un buon illustratore, perché il disegno è il modo primordiale di dare forma alle idee.
Qual è il filo conduttore del tuo lavoro? 
Anche se provo a essere il più libero possibile, cerco sempre nelle mie illustrazioni un linguaggio molto semplice. Bruno Munari diceva: “complicare è facile, semplificare è difficile”. Per semplificare bisogna sapere esattamente cosa togliere, che è la parte più difficile del processo: la stessa cosa fa uno scultore che deve far uscire la scultura da un blocco di marmo.
A proposito di libertà, come funziona il tuo processo creativo? 
A volte mi piacerebbe guardare il mondo con gli occhi di un bambino, perché tempo, esperienza e cultura filtrano lo sguardo. Quando ero piccolo, mi divertivo a mettere la testa fra le gambe e guardare il mondo al contrario. Metaforicamente, è un esercizio che pratico ancora. Non credo che la creatività arrivi in momenti speciali: è un lavoro costante, una ricerca quotidiana. Quando lavoro su un’illustrazione so dove voglio arrivare, ma non so come ci arriverò. Racconto la mia idea attraverso serie di immagini e non una soltanto: mi fermo solo quando sento che l’idea è stata sufficientemente esplorata.
Perché le tue illustrazioni mettono in relazione l’architettura e altre forme artistiche? Mi piace creare dei crossover, delle sovrapposizioni, dei dialoghi fra le discipline. Esplorare la soglia fra universi paralleli. Non a caso molti titoli dei miei progetti sono neologismi. L’architettura è la mia base e spesso l’oggetto del mio lavoro. Ad esempio, nel mio progetto <i>Archist</i> ogni illustrazione 

è un ritratto d’artista in forma di casa, creato adottando il suo specifico stile. Mi affascinano gli incontri possibili e impossibili fra arte e architettura, che sono sempre state in comunicazione.
Quali altre espressioni artistiche stimolano la tua creatività? 
Sicuramente la musica, che con l’architettura ha molto in comune: la relazione tra pieni e vuoti è la stessa che c’è fra note e silenzi. Anche il cinema è una delle mie grandi passioni. Mi piace pensare ai registi come ad architetti di storie e alle scenografie come ad architetture vere e proprie.
La relazione fra architettura e arte può influenzare la società 
Come Oscar Wilde, non sono convinto dell’utilità dell’arte nel cambiare le cose. Ma credo che aiuti a riflettere, a sensibilizzare. Ho voluto quindi raccontare alcune realtà che ci accomunano. Ad esempio le psicopatologie, un tema che tocca tutti noi indirettamente o anche personalmente. Dato che la viviamo ogni giorno, l’architettura stessa ha un grande peso sulla psiche, così come gli architetti sono guidati dalla propria psiche quando progettano. Mi sono concentrato anche sulla connessione fra architettura e diritti umani. Gli architetti hanno una responsabilità: costruire edifici sostenibili, dove le differenze sociali si possano ridurre al minimo. Durante il lockdown è invece nato per caso Archisolation. Ho ideato un’immagine al giorno per fotografare quel periodo della mia vita e in particolare tutti i cambiamenti che abbiamo vissuto: il rallentare del tempo, l’iconografia del contagio, la distanza sociale e di classe, i nuovi linguaggi, la tecnologia come unico contatto con gli altri, la vita casalinga come labirinto senza uscita, le finestre come occhi e mezzi di controllo. La finestra per me è proprio la soglia per eccellenza: dall’interno è una cornice che inquadra il paesaggio, all’esterno rivela la vita e la personalità.
Federico Babina 
illustratore

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