Architettura sostenibile, vivere una Passivhaus

Openings n. 1 | 2020

Studio Piraccini + Potente Architettura, 2020

Vivere una Passivhaus

di Chiara Tartagni – ph Daniele Domenicali e Chiara Pavolucci

Arch. Stefano Piraccini
e Arch. Margherita Potente

Abbiamo incontrato Stefano Piraccini e Margherita Potente, soci di uno fra i pochi studi di architettura in Italia specializzati in progettazione di edifici con protocollo Passivhaus. Un approccio a consumo zero che può interessare tutte quelle strutture in cui passiamo una buona parte del nostro tempo. Un esempio? La casa studio dove i due architetti vivono e lavorano.

Perché lo studio Piraccini+Potente ha scelto di concentrarsi sull’architettura sostenibile?
Per noi è essenziale che l’azione dell’essere umano sia connessa alla natura al fine di preservare le risorse di oggi per le generazioni future. Circa il 60% dell’energia prodotta dalla comunità europea viene utilizzato per climatizzare gli edifici: un impatto enorme. Il 70% delle malattie legate all’inquinamento atmosferico deriva da quello prodotto dagli edifici per riscaldare. I nostri edifici non consumano energia e non inquinano l’aria, nulla di magico ma solo una sapiente unione di forma e tecnologia. D’altronde, ogni forma che esiste in natura si è definita attraverso un processo funzionale: lo stesso vale anche per la bellezza.
La vostra casa studio è la prima Passivhaus in Europa all’interno di un aggregato urbano. È anche un modo per fare cultura?
In questo progetto abbiamo utilizzato 5 diversi sistemi costruttivi allo scopo di declinare il tema della sostenibilità. Abbiamo coniugato al meglio efficienza energetica, estetica, funzionalità. La nostra esperienza è stata raccontata in convegni e numerose pubblicazioni editoriali ed è oggetto di un corso presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna che ci vede come insegnanti. Anche le normative europee in termini di efficientamento energetico stanno andando nella medesima direzione: lo standard NZEB (Near Zero Energy Building) è ormai presente in tutta Europa. Tuttavia, a noi piace alzare l’asticella, per questo progettiamo anche in standard Passivhaus. Le altre Passivhaus che avete creato seguono gli stessi principi? Avete una firma stilistica precisa?
La maggior parte delle Passivhaus sono edifici compatti privi di emozione. Al contrario, per noi la componente emozionale è di estrema importanza. I nostri edifici cercano di soddisfare aspetti funzionali, efficienza energetica e comfort, utilizzando una “estetica utile”. Gran parte del nostro approccio deriva da un interesse antropologico rispetto all’architettura vernacolare, le popolazioni tribali e le loro abitazioni, che abbiamo avuto la fortuna di visitare in numerosi viaggi. Si tratta di forme che si sono evolute nell’arco di migliaia di anni, stabilendo il migliore rapporto possibile tra adattamento al clima e

uso sostenibile delle risorse. Prima di realizzare il progetto della casa/studio siamo stati più volte in Giappone e ci siamo fatti ispirare dal disegno giapponese dello spazio con un raffinato equilibrio di luci e ombre.
Energia, comfort e innovazione: il Passivhaus si muove su queste tre direttrici. Ce n’è una a cui avete dato priorità nel vostro progetto?
No, devono sempre andare di pari passo. Il protocollo Passivhaus non è determinato da materiali e tecnologie, tutto dipende dagli obiettivi e dai risultati finali. Il protocollo consente un controllo totale dell’edificio, tecnologico ma anche economico, in cui tutti i calcoli devono tornare. Con Edilpiù abbiamo studiato tantissimo e tutto nel minimo dettaglio, soprattutto i controtelai. I tecnici hanno dovuto cambiare prospettiva e adottare soluzioni ad hoc, anche dal punto di vista estetico: volevamo più aperture possibili, quindi i telai dovevano sposarsi con il colore dell’edificio. Abbiamo dovuto adottare una vernice riflettente perché il colore scuro si scalda più facilmente e l’isolante sottostante potrebbe deformarsi. Quindi abbiamo dovuto verificare fisicamente quali tipi di vernici raggiungevano le temperature più alte. I nostri progetti sono sperimentazioni continue, siamo entrambi molto curiosi e ci piace reinventarci continuamente. Ogni volta si tratta di un abito su misura.
L’equilibrio di una Passivhaus non rende facile solo vivere, ma anche lavorare. Per quali tipi di strutture è consigliabile questo protocollo?
Per tutti, in realtà. In un momento storico come quello che stiamo vivendo, il tema del ricambio dell’aria è estremamente attuale e il fulcro del Passivhaus è proprio la ventilazione meccanica controllata: l’impianto trasferisce il calore dall’aria espulsa all’esterno e reimmette all’interno aria pulita, che raggiunge una temperatura ottimale grazie ai raggi solari, al calore umano e agli elettrodomestici, oppure con il supporto di una pompa di calore. La velocità del ricambio d’aria sarebbe ad esempio preziosa per i musei, ma soprattutto per le scuole. La scuola e l’università dovrebbero essere sicure, antisismiche e accoglienti: sono edifici immensi, con un impatto energetico straordinario e dove si passa moltissimo tempo. Tenere l’aria pulita e ossigenata sarebbe non solo confortevole, ma anche più produttivo per una mente che deve ragionare e studiare.

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