La soglia del cinema

Openings n. 1 | 2021

Francesca Molteni,
foto di Gianluca Gasperoni

Aprirsi all’imprevisto

di Chiara Tartagni – ph. Gianluca Gasperoni

Fondatrice della casa di produzione Muse Factory of Projects, Francesca Molteni è curatrice, regista e autrice di film documentari, e con Edilpiù ha dato vita al grande viaggio di Openings. Con lei abbiamo parlato di cinema, imprevisti e naturalmente soglie.
Qual è la relazione fra cinema e design? È la forma di soglia che incontri nel tuo lavoro? Cinema e design, come cinema e architettura, hanno molto in comune. Entrambi sono progetti: più che il prodotto finale, è interessante il processo. Sono mondi dov’è molto importante la creatività del singolo, ma anche il gioco di squadra. Nulla si fa da soli, ciascuno mette in gioco capacità e competenze tecniche. Ed entrambi si fanno per passione, richiedono coinvolgimento e curiosità per ciò che ancora non si conosce e ciò che si potrebbe fare meglio. Il design faceva parte del DNA di famiglia, ma io
ho fatto un altro percorso: ho studiato filosofia, ho lavorato in RAI e in America. Nel frattempo la rivoluzione digitale rendeva il video uno strumento più accessibile. Quando sono tornata in Italia, il design aveva bisogno di raccontare delle storie, attraverso un linguaggio verbale ma anche visivo.
La tecnologia e i dispositivi come hanno quindi cambiato il nostro sguardo? Hanno democratizzato cinema e video, con tutti i limiti di questo libero accesso: chiunque può fare un video con lo smartphone, quindi è diventato più difficile far capire il valore dell’utilizzo professionale di un linguaggio. Per come lo concepiamo noi, il video è un’arte totale, in cui ogni elemento contamina l’altro: dalle interviste alla scrittura dei testi, fino alla grafica, al montaggio, alla musica.Parliamo del progetto che hai dedicato ai 40 anni di Edilpiù, il documentario Openings. Cosa ti ha stimolato? Quando ho incontrato Edilpiù, aveva già capito che lo strumento cinematografico è un mezzo potente per lanciare un tema e poi discuterne. Abbiamo approfondito la collaborazione con il Renzo Piano World Tour e con il mio Il potere dell’archivio.

Da questi incontri è nata la volontà di raccontare un’azienda che vuole aprire una discussione su un tema specifico e allo stesso tempo ampio. Indagare la soglia ci ha consentito di incontrare persone molto diverse fra loro ma unite dal lavoro in questo territorio, dal fatto di avere la Romagna nelle proprie radici e nel proprio cuore. Un film è un po’ come un bambino: lo nutri, gli dedichi tempo, energie e affetto, ma cosa diventerà non è mai scontato.
La materia quindi non è totalmente sotto controllo durante il processo? No, anzi le cose più sorprendenti succedono quando si presenta un’altra soglia, ovvero l’apertura all’imprevisto, alle persone, alla vita. Alcune interviste potrebbero risolversi in un’ora e poi incontri persone come i Casadei, generose nel condividere la propria storia. Ci dedichiamo sempre a lavori abbastanza lunghi e profondi, nessuno uguale all’altro. Una cosa che abbiamo in comune con Edilpiù: come loro ci mettiamo al servizio di un’idea, portiamo il nostro interlocutore a fare le scelte giuste per quel singolo progetto.
Questo periodo particolare, in cui il concetto di soglia è ancora più complesso, ha cambiato la tua visione? Anche noi abbiamo dovuto rimetterci in gioco. Ci ha tolto la possibilità di viaggiare, ma ci ha dato quella di approfondire, di scoprire storie più vicine a noi, di conoscere realtà che fino a un anno fa non avrebbero mai pensato di comunicare attraverso il digitale. È un’occasione per imparare e per aiutare le aziende a fare dei passi avanti, soprattutto quelle in difficoltà.
Anche l’occhio cinematografico è quindi una soglia? Ogni volta che si accende, devi scegliere cosa tenere dentro e cosa tenere fuori. Il frame è l’equivalente di una cornice. Quasi sempre è più importante quello che decidi di escludere, di non raccontare. Fuori c’è un mondo e tu decidi di focalizzarti su qualcosa di preciso. È una scelta molto forte.

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